Come cambia lo scenario del gas in Europa con la fine
delle sanzioni all'Iran?
L’accordo sul nucleare iraniano, firmato il 14 luglio 2015, e la
connessa fine graduale delle sanzioni internazionali, porterà
anche allo stop del divieto di esportazione delle risorse
energetiche del paese verso l’Europa e del divieto di investimento
per le aziende europee nel settore energetico iraniano. Oltre
che ricco di petrolio (circa 9% delle riserve provate mondiali di
greggio), l’Iran detiene il primato mondiale per riserve provate
di gas naturale: il potenziale stimato a fine 2014 è di 35 Tmc,
superiore a quello di Russia (32.6 Tmc) e Qatar (24.5 Tmc)3 e
pari al 18% delle riserve provate mondiali.
Un potenziale ancora non sfruttato
Tale dotazione è a oggi poco sfruttata. Infatti, nonostante negli
ultimi vent’anni la produzione di gas iraniano sia cresciuta a
ritmi consistenti (il CAGR dal 2004 al 2014 è del 6%),
nel 2014 essa era comunque pari a un ammontare ancora molto
ridotto rispetto al potenziale: 170 Gmc (a termine di paragone
la Russia, con un simile dotazione di risorse, produce oltre 575
Gmc all’anno). Al ritmo attuale di produzione, molto limitato
rispetto al potenziale, le risorse esistenti si esaurirebbero in
oltre 100 anni.
La produzione interna, inoltre, è stata fino a ora quasi
completamente assorbita dai consumi interni, con un ruolo
per l’export molto limitato: i volumi totali esportati,
esclusivamente via pipeline, erano pari circa 10 Gmc nel
2014 (il 5% della produzione interna), diretti per la maggior
parte verso Turchia, e in minor misura, verso Armenia e
Azerbaijan. L’industria della liquefazione non è invece per
nulla sviluppata, in netto contrasto con il confinante Qatar,
con il quale condivide il maggiore giacimento di gas offshore
(South Pars, scoperto nel 1990) e che è invece il primo
esportatore mondiale di LNG (103 Gmc di GNL esportato nel
2014, partendo praticamente da zero negli anni ‘90).
Dal 2013 in avanti l’attuale governo ha più volte manifestato
ufficialmente la forte volontà politica di far diventare l’Iran un
esportatore di gas. I piani dichiarati prevedono un incremento
della produzione fino a 400 Gmc al 20257 e l’impegno a
realizzare numerosi progetti infrastrutturali necessari per il
trasporto al di fuori dei confini nazionali, sia attraverso nuovi
gasdotti internazionali che attraverso terminali di liquefazione.
Tra le destinazioni possibili di esportazione si pone anche
l’Europa: esistono, infatti, fino a otto progetti di nuovi gasdotti
finalizzati a fornire i consumatori europei, per un totale
annuo massimo, secondo il governo iraniano, di 25-30 Gmc all’anno; si tratta di un quantitativo piuttosto limitato: pari a
circa il 6% dei consumi di gas dell’Europa nel 2014 e circa il
25% di quanto l’Europa importa dalla Russia.
Le opzioni per convogliare il gas dei giacimenti iraniani,
concentrati nel sud-ovest del paese, verso l’Europa
includerebbero tre alternative principali. Una prima rotta, in
direzione nord-ovest, passerebbe attraverso Iran, Iraq, Siria
per poi attraversare il Mediterraneo; la seconda alternativa
sarebbe la rotta settentrionale via Armenia-Georgia e infine
Ucraina. La terza, giudicata più fattibile, prevede il passaggio
attraverso la Turchia (con un rafforzamento dell’infrastruttura
di transito in Turchia, TANAP, e della portata di TAP).
Recentemente, si è aggiunta anche un’ipotesi di “revival” del
progetto di gasdotto Nabucco, congelato dopo la mancata
assegnazione delle forniture di gas azero.
Secondo quanto dichiarato da National Iranian Gas Exports
Company (NIGEC, di proprietà dello stato), è anche possibile
andare incontro alle esigenze di diversificazione dell’Europa
con forniture via nave, come accade attualmente per il
Qatar.
Con la fine delle sanzioni all’Iran si aprirebbe dunque una nuova
opportunità di diversificazione per le forniture di gas europee?
Siamo davanti a un nuovo shock lato-offerta come accaduto
con l’entrata del Qatar nel 2008-2009? Non proprio.
Non solo sanzioni: le barriere all’investimento nell’industria
gas iraniana
In primo luogo, è necessario non sovrastimare la velocità del
ramp-up della produzione iraniana, precondizione essenziale
per garantire l’esportazione. La rimozione delle sanzioni
internazionali migliora certamente le relazioni commerciali e
sicuramente facilita gli investimenti nel paese, aumentando
l’accesso al credito e alle tecnologie, tuttavia, il processo è
necessariamente lungo: occorre del tempo, in particolare, per
reperire i capitali di investimento e le tecnologie funzionali allo
sfruttamento delle risorse interne.
Rimane, inoltre, nonostante la fine delle sanzioni, un certo grado
di incertezza sull’attrattività del clima di investimento nel paese.
In particolare tra i fattori deterrenti ci sono il dibattito politico
ancora aperto sull’apertura alle esportazioni, il mantenimento
di una struttura di sussidi che riduce il capitale che può essere
investito nell’industria e l’attuale schema contrattuale imposto
alle imprese straniere che intendono sviluppare le risorse del
paese, giudicato un freno all’investimento (il c.d. buy-back
service contract, il quale implica che l’investitore non detenga
quote nel giacimento oggetto di esplorazione, che rimane di
proprietà nazionale).
A oggi lo scarso investimento nell’estrazione delle risorse è
stato tale da rendere il primo paese al mondo per riserve di gas
dipendente, soprattutto durante l’inverno, dalle importazioni
di Turkmenistan e, in minor parte, Azerbaijan. E’ dunque
probabile che tali ostacoli non vengano rimossi in breve tempo.
Potrebbero infatti essere necessari dai 5 anni ai 20 anni per mettere in piedi gli investimenti utili ad incrementare
sostanzialmente la produzione e avviare le esportazioni.
In secondo luogo, le numerose infrastrutture potenziali di
esportazione verso l’Europa implicano un sostanziale grado
di complessità, politica e tecnica, che ha già portato, in
passato, al congelamento di alcuni progetti, come accaduto
al piano di importazione di gas iraniano attraverso la rotta
del gasdotto TAP. Disordini e tensioni geopolitiche rendono
incerta, almeno nel breve, la fattibilità della rotta Iran-Iraq-Siria,
nonostante la prima tratta sia già in costruzione, e della
rotta attraverso l’Ucraina. La strada per il gas iraniano diretto
verso l’Europa che attraversa la Turchia è sicuramente la più
fattibile. Tuttavia, manca a oggi il gasdotto di transito attraverso
la Turchia: si sta costruendo TANAP (da 16 Gmc entro il 2020-
2022), un progetto finanziato da Southern Gas Corridor Closed
Joint Stock Company (SGC) al 58%, la turca Botas (30%) e
BP (12%)17. TANAP è però attualmente dimensionato, almeno
per quanto riguarda una prima fase di attività, per trasportare
il gas azero: per accomodare anche il gas iraniano servono
investimenti aggiuntivi.
Per quanto riguarda i progetti di esportazione via nave, l’Iran
gode, come il Qatar, di una posizione geografica privilegiata,
con costi di trasporto pressoché simili verso i due grossi centri di
consumo di GNL, Europa e Asia. Questo darebbe la possibilità
di accedere a entrambi i mercati e ridurrebbe il rischio di
irrigidirsi su una destinazione che poi possa in futuro rendersi
poco attraente. A lungo è stato sostenuto che la realizzazione
di queste infrastrutture fosse frenata essenzialmente dalle
sanzioni che rendevano la costosa tecnologia per la liquefazione
inaccessibile dopo il ritiro delle major oil&gas.
Tuttavia, data la maggiore complessità della tecnologia di
liquefazione rispetto a quella via pipeline, anche se la rimozione
delle sanzioni facesse partire gli investimenti, la tempistica
di avvio è considerata ancora più lunga di quella ipotizzabile
per le esportazioni via tubo, con realizzazione degli impianti
non prima dei prossimi 10 anni e quindi solo in un orizzonte al
2030.
Inoltre l’attuale congiuntura di mercato, con la disponibilità di
GNL spot prezzato quest’anno ai minimi storici (7.5 e 7 $/MMBtu
per l’Asia e Europa Mediterranea nei primi sei mesi del 2015, a
fronte di una media nel 2011-2014 di circa 15 e 11 $/MMBtu) e
prezzi per le forniture di GNL long term depressi dalla discesa
delle quotazioni petrolifere, non facilita il raggiungimento di
accordi di fornitura di lungo periodo, necessari a far partire
grossi investimenti infrastrutturali.
Infine, alla luce delle
prospettive per mercato lungo del GNL post-2015, nel mediobreve
periodo l’Iran potrebbe considerare non opportuno
nutrire ulteriormente l’offerta di GNL, già ampliata da nuova
capacità di liquefazione già in costruzione. Si stima infatti che
tra il 2015 e il 2020 possano entrare 136 Gmc/a aggiuntivi di
offerta di GNL19, con l’entrata in funzione di nuovi terminali di
liquefazioni negli Stati Uniti e in Australia, già in costruzione e
con gran parte delle forniture già contrattualizzate con accordi
di lungo periodo.
I concorrenti dell’Europa
Un altro fattore che limiterebbe l’impatto delle forniture iraniane
sugli approvvigionamenti europei: anche in caso di pieno
sviluppo delle potenzialità di produzione in Iran, esistono
destinazioni maggiormente prioritarie per il gas proveniente
dall’Iran.
Prima di tutto, c’è la domanda interna, in continua ascesa
negli ultimi vent’anni: l’Iran era nel 2014 il quarto consumatore
mondiale (dopo Stati Uniti, Russia e Cina, per un totale di
circa 170 Gmc22 ). Nonostante l’asservimento quasi totale
della propria produzione e richiesta interna, l’anno scorso
l’Iran era ancora importatore di gas per circa 7 Gmc, volumi
che potenzialmente potrebbero essere convenientemente
rimpiazzarti assorbendo le prime fasi di espansione della
produzione.
La domanda interna potrebbe inoltre ulteriormente aumentare,
non solo per la ripresa dell’industria locale sospinta dalla
rimozione delle sanzioni internazionali, ma anche per la crescita
demografica in atto e per effetto di una politica energetica che ha
promosso la sostituzione nel mix energetico del petrolio – la cui
esportazione è più remunerativa rispetto al consumo interno con
il gas naturale, anche nel settore dell’autotrazione (l’Iran
deteneva il 19% dei veicoli alimentati a metano esistenti nel
mondo nel 2011). Inoltre una forte richiesta interna di gas
è connessa alle esigenze di mantenimento della produttività
dell’estrazione petrolifera, che avviene attraverso le iniezioni
di gas nei giacimenti di petrolio (c.d. enhanced oil recovery).
Queste ultime in particolare potrebbero limitare fortemente il
potenziale di volumi di gas esportabili perché, come sollevato
nel dibattito interno sul migliore utilizzo delle risorse energetiche,
consentirebbero, attraverso un aumento delle esportazioni di
petrolio, un maggiore beneficio economico per il paese e una
strada - meglio percorribile dal punto di vista tecnico rispetto
al commercio transfrontaliero del combustibile fossile gassoso.
Le proiezioni sono per 200-220 Gmc di domanda interna già
entro il 2020, che potrebbero crescere, se si assumono i tassi
di crescita ipotizzati da IEA per il Medio Oriente, 270 Gmc entro
il 2030.
In secondo luogo, i piani per l’esportazione prevedono una chiara
priorità per i paesi di immediata vicinanza, che minimizzano le
esigenze di investimenti in infrastrutture e hanno mercati con
prospettive di crescita significative. Secondo le dichiarazioni
di NIGEC, di proprietà dello stato le destinazioni prioritarie per
il gas iraniano sarebbero Turkmenistan, Armenia, Azerbaijan,
Turkey e Iraq, seguiti dagli altri paesi del Golfo Persico. Nella
regione le prospettive di crescita della domanda gas sono
molto promettenti. Queste priorità sono già state rese concrete
con contratti di fornitura, previsti in partenza entro la fine del
decennio. I volumi previsti per l’esportazione verso l’Iraq sono
circa 2 Gmc/anno a partire dal 2015, previsti poi in ascesa per
raggiungere nel 2018 10 Gmc; entro il 2020 si aggiungeranno
quelli verso Turchia (10 Gmc/anno) e Oman (fino a 10 Gmc).
L’Iran è anche già in trattative con l’Afghanistan dal 2014.
Anche l’infrastruttura per fornire questi mercati, al contrario di
quella diretta verso l’Europa, è già in fase avanzata (nel caso
dell’Iraq) o in parte già esistente (come per la Turchia).
Impatto marginale per l’Europa
Almeno prima del 2030 dunque si può concludere che la
domanda interna e le esigenze di importazione dei paesi
immediatamente confinanti (in particolare Iraq, Turchia e
Oman) spiazzino le possibili esportazioni via gasdotto verso
l’Europa, anche assumendo che vengano realizzati i complessi
progetti infrastrutturali.
Le rotte di esportazione del gas iraniano, in analogia a quanto
già accaduto con South Stream, è probabile che si fermino,
almeno fino al 2030, ai paesi più vicini, dove i consumi di gas
sono in netta crescita, piuttosto che portarsi avanti, sopportando
alti costi di investimento, verso una destinazione con richiesta
di gas recentemente stagnante.
Per quanto riguarda invece il GNL, si tratta di un’opzione che
molto probabilmente verrà posticipata, sia per la complessità
della tecnologia che richiede una maggior partecipazione di
investitori stranieri rispetto al trasporto via tubo, sia perché
potrebbe essere giudicato non opportuno entrare in un mercato
che, nel breve periodo, sarà molto probabilmente già saturato
dall’entrata di capacità di liquefazione già in fase avanzata
di realizzazione. In un contesto di risorse di investimento
e accesso al credito ancora limitati, preferire l’opzione via
gasdotto a quella via nave consentirebbe all’Iran di sfruttare
il vantaggio competitivo della vicinanza ai mercati del Golfo
Persico dove c’è grosso potenziale di richiesta di gas già dal
breve periodo.
In ogni caso, le prospettive più ottimistiche si fermerebbero a un
contributo agli approvvigionamenti europei nel periodo 2020-
30 di 10-20 Gmc all’anno, trasportati esclusivamente
da gasdotti, a condizione però che avvengano gli investimenti
nel rafforzamento del transito interno alla Turchia. Si tratta
di meno del 5% del consumo interno dell’EU nel 2014 e
solamente circa un sesto dell’export gas di gas russo verso
l’EU.
Sicurezza dell’offerta o sicurezza della domanda?
Il ridotto possibile contributo dell’Iran, fino al 2030,
all’approvvigionamento all’Europa, vanificherebbe dunque
anche il contributo alle esigenze di diversificazione del mix
di importazione di gas nell’Unione, espresse più volte dalle
istituzioni comunitarie soprattutto dopo la crisi russo-ucraina
aperta a marzo 2014.
Tuttavia, agli occhi dei potenziali nuovi entranti nell’esportazione
di gas, quando si parla di Europa il problema non è tanto la
sicurezza dell’offerta, quanto la sicurezza della domanda.
L’Europa, nonostante le dichiarazioni a livello istituzionale, non
rappresenta commercialmente la destinazione più attraente
per progetti di esportazione che implicano impegnativi
finanziamenti con ritorni raggiungibili solo nel lungo periodo.
È possibile che, come l’Algeria, anche l’Iran decida di non
vincolarsi a un mercato con una domanda con poche
prospettive di sviluppo.
La tendenza, già riscontrata nel caso della vicenda del South
Stream/Turkish Stream, che potrebbe anche interessare
il futuro gas di provenienza iraniana potrebbe essere lo
spostamento del punto di consegna delle forniture extraeuropee
lontano dai centri di consumo europei, ad esempio
presso un hub del gas turco. Una strategia che potrebbe
anche consentire di non sottostare alla regolazione delle reti
comunitaria, che a oggi ha di fatto portato all’impossibilità di
sfruttare a pieno le potenzialità del Nord Stream per effetto
di una disputa sull’accesso di terzi alla capacità sul gasdotto
Opal, la continuazione tedesca del gasdotto russo che
attraversa il Mare del Baltico.
In un orizzonte più lontano, l’Iran potrebbe contribuire alla
diversificazione alimentando i volumi disponibili di LNG spot,
ma non si tratta comunque di un game changer poiché la
liquidità del mercato del gas liquefatto verrà in primo luogo, e
in un orizzonte di tempo più vicino, sostenuta da altri fornitori,
con progetti di liquefazione già avviati, almeno per i volumi in
eccesso a quelli richiesti dall’Asia.
Quanto costa la diversificazione
Nonostante l’affacciarsi di nuovi fornitori potenziali di gas nei
prossimi anni, rispetto alla diversificazione dell’importazione
verso l’Europa non va trascurato il fattore economico. Il gas russo, per l’Europa, rimane comunque il più conveniente e
meno complesso da importare, almeno da un punto di vista
commerciale, come sembra essere implicito nella decisione
presa da alcune imprese energetiche europee (l’austriaca
OMV, Shell e E.ON) di sostenere il progetto dell’ampliamento
del Nord Stream pipeline, alternativa al corridoio ucraino,
dove i contratti di transito potrebbero non essere rinnovati
dopo il 2019.
Le consegne di gas russo all’Europa potrebbero battere
dunque la concorrenza delle future forniture, in termini di
costo. Il gas prodotto dai nuovi giacimenti in Russia (Yamal)
si stima possa garantire un ritorno già soddisfacente anche
se rivenduto alla frontiera europea a circa 7 $/MMBtu,
mentre le attuali opzioni di esportazione di gas iraniano in
Europa potrebbero essere realizzabili solamente se i prezzi
di rivendita sui mercati europei fossero superiori almeno a 7
$/MMBtu.
Fonte: Di Pia Saraceno, Beatrice Petrovich - REF-E
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