venerdì 7 agosto 2015

Come cambia lo scenario del gas in Europa con la fine delle sanzioni all'Iran?



L’accordo sul nucleare iraniano, firmato il 14 luglio 2015, e la connessa fine graduale delle sanzioni internazionali, porterà anche allo stop del divieto di esportazione delle risorse energetiche del paese verso l’Europa e del divieto di investimento per le aziende europee nel settore energetico iraniano. Oltre che ricco di petrolio (circa 9% delle riserve provate mondiali di greggio), l’Iran detiene il primato mondiale per riserve provate di gas naturale: il potenziale stimato a fine 2014 è di 35 Tmc, superiore a quello di Russia (32.6 Tmc) e Qatar (24.5 Tmc)3 e pari al 18% delle riserve provate mondiali. Un potenziale ancora non sfruttato Tale dotazione è a oggi poco sfruttata. Infatti, nonostante negli ultimi vent’anni la produzione di gas iraniano sia cresciuta a ritmi consistenti (il CAGR dal 2004 al 2014 è del 6%), nel 2014 essa era comunque pari a un ammontare ancora molto ridotto rispetto al potenziale: 170 Gmc (a termine di paragone la Russia, con un simile dotazione di risorse, produce oltre 575 Gmc all’anno). Al ritmo attuale di produzione, molto limitato rispetto al potenziale, le risorse esistenti si esaurirebbero in oltre 100 anni.

La produzione interna, inoltre, è stata fino a ora quasi completamente assorbita dai consumi interni, con un ruolo per l’export molto limitato: i volumi totali esportati, esclusivamente via pipeline, erano pari circa 10 Gmc nel 2014 (il 5% della produzione interna), diretti per la maggior parte verso Turchia, e in minor misura, verso Armenia e Azerbaijan. L’industria della liquefazione non è invece per nulla sviluppata, in netto contrasto con il confinante Qatar, con il quale condivide il maggiore giacimento di gas offshore (South Pars, scoperto nel 1990) e che è invece il primo esportatore mondiale di LNG (103 Gmc di GNL esportato nel 2014, partendo praticamente da zero negli anni ‘90). Dal 2013 in avanti l’attuale governo ha più volte manifestato ufficialmente la forte volontà politica di far diventare l’Iran un esportatore di gas. I piani dichiarati prevedono un incremento della produzione fino a 400 Gmc al 20257 e l’impegno a realizzare numerosi progetti infrastrutturali necessari per il trasporto al di fuori dei confini nazionali, sia attraverso nuovi gasdotti internazionali che attraverso terminali di liquefazione.

Tra le destinazioni possibili di esportazione si pone anche l’Europa: esistono, infatti, fino a otto progetti di nuovi gasdotti finalizzati a fornire i consumatori europei, per un totale annuo massimo, secondo il governo iraniano, di 25-30 Gmc all’anno; si tratta di un quantitativo piuttosto limitato: pari a circa il 6% dei consumi di gas dell’Europa nel 2014 e circa il 25% di quanto l’Europa importa dalla Russia. Le opzioni per convogliare il gas dei giacimenti iraniani, concentrati nel sud-ovest del paese, verso l’Europa includerebbero tre alternative principali. Una prima rotta, in direzione nord-ovest, passerebbe attraverso Iran, Iraq, Siria per poi attraversare il Mediterraneo; la seconda alternativa sarebbe la rotta settentrionale via Armenia-Georgia e infine Ucraina. La terza, giudicata più fattibile, prevede il passaggio attraverso la Turchia (con un rafforzamento dell’infrastruttura di transito in Turchia, TANAP, e della portata di TAP). Recentemente, si è aggiunta anche un’ipotesi di “revival” del progetto di gasdotto Nabucco, congelato dopo la mancata assegnazione delle forniture di gas azero. Secondo quanto dichiarato da National Iranian Gas Exports Company (NIGEC, di proprietà dello stato), è anche possibile andare incontro alle esigenze di diversificazione dell’Europa con forniture via nave, come accade attualmente per il Qatar.

Con la fine delle sanzioni all’Iran si aprirebbe dunque una nuova opportunità di diversificazione per le forniture di gas europee? Siamo davanti a un nuovo shock lato-offerta come accaduto con l’entrata del Qatar nel 2008-2009? Non proprio. 

Non solo sanzioni: le barriere all’investimento nell’industria gas iraniana

In primo luogo, è necessario non sovrastimare la velocità del ramp-up della produzione iraniana, precondizione essenziale per garantire l’esportazione. La rimozione delle sanzioni internazionali migliora certamente le relazioni commerciali e sicuramente facilita gli investimenti nel paese, aumentando l’accesso al credito e alle tecnologie, tuttavia, il processo è necessariamente lungo: occorre del tempo, in particolare, per reperire i capitali di investimento e le tecnologie funzionali allo sfruttamento delle risorse interne. Rimane, inoltre, nonostante la fine delle sanzioni, un certo grado di incertezza sull’attrattività del clima di investimento nel paese. In particolare tra i fattori deterrenti ci sono il dibattito politico ancora aperto sull’apertura alle esportazioni, il mantenimento di una struttura di sussidi che riduce il capitale che può essere investito nell’industria e l’attuale schema contrattuale imposto alle imprese straniere che intendono sviluppare le risorse del paese, giudicato un freno all’investimento (il c.d. buy-back service contract, il quale implica che l’investitore non detenga quote nel giacimento oggetto di esplorazione, che rimane di proprietà nazionale). 
A oggi lo scarso investimento nell’estrazione delle risorse è stato tale da rendere il primo paese al mondo per riserve di gas dipendente, soprattutto durante l’inverno, dalle importazioni di Turkmenistan e, in minor parte, Azerbaijan. E’ dunque probabile che tali ostacoli non vengano rimossi in breve tempo. Potrebbero infatti essere necessari dai 5 anni ai 20 anni per mettere in piedi gli investimenti utili ad incrementare sostanzialmente la produzione e avviare le esportazioni. In secondo luogo, le numerose infrastrutture potenziali di esportazione verso l’Europa implicano un sostanziale grado di complessità, politica e tecnica, che ha già portato, in passato, al congelamento di alcuni progetti, come accaduto al piano di importazione di gas iraniano attraverso la rotta del gasdotto TAP. Disordini e tensioni geopolitiche rendono incerta, almeno nel breve, la fattibilità della rotta Iran-Iraq-Siria, nonostante la prima tratta sia già in costruzione, e della rotta attraverso l’Ucraina. La strada per il gas iraniano diretto verso l’Europa che attraversa la Turchia è sicuramente la più fattibile. Tuttavia, manca a oggi il gasdotto di transito attraverso la Turchia: si sta costruendo TANAP (da 16 Gmc entro il 2020- 2022), un progetto finanziato da Southern Gas Corridor Closed Joint Stock Company (SGC) al 58%, la turca Botas (30%) e BP (12%)17. TANAP è però attualmente dimensionato, almeno per quanto riguarda una prima fase di attività, per trasportare il gas azero: per accomodare anche il gas iraniano servono investimenti aggiuntivi. Per quanto riguarda i progetti di esportazione via nave, l’Iran gode, come il Qatar, di una posizione geografica privilegiata, con costi di trasporto pressoché simili verso i due grossi centri di consumo di GNL, Europa e Asia. Questo darebbe la possibilità di accedere a entrambi i mercati e ridurrebbe il rischio di irrigidirsi su una destinazione che poi possa in futuro rendersi poco attraente. A lungo è stato sostenuto che la realizzazione di queste infrastrutture fosse frenata essenzialmente dalle sanzioni che rendevano la costosa tecnologia per la liquefazione inaccessibile dopo il ritiro delle major oil&gas. Tuttavia, data la maggiore complessità della tecnologia di liquefazione rispetto a quella via pipeline, anche se la rimozione delle sanzioni facesse partire gli investimenti, la tempistica di avvio è considerata ancora più lunga di quella ipotizzabile per le esportazioni via tubo, con realizzazione degli impianti non prima dei prossimi 10 anni e quindi solo in un orizzonte al 2030. Inoltre l’attuale congiuntura di mercato, con la disponibilità di GNL spot prezzato quest’anno ai minimi storici (7.5 e 7 $/MMBtu per l’Asia e Europa Mediterranea nei primi sei mesi del 2015, a fronte di una media nel 2011-2014 di circa 15 e 11 $/MMBtu) e prezzi per le forniture di GNL long term depressi dalla discesa delle quotazioni petrolifere, non facilita il raggiungimento di accordi di fornitura di lungo periodo, necessari a far partire grossi investimenti infrastrutturali. 
Infine, alla luce delle prospettive per mercato lungo del GNL post-2015, nel mediobreve periodo l’Iran potrebbe considerare non opportuno nutrire ulteriormente l’offerta di GNL, già ampliata da nuova capacità di liquefazione già in costruzione. Si stima infatti che tra il 2015 e il 2020 possano entrare 136 Gmc/a aggiuntivi di offerta di GNL19, con l’entrata in funzione di nuovi terminali di liquefazioni negli Stati Uniti e in Australia, già in costruzione e con gran parte delle forniture già contrattualizzate con accordi di lungo periodo.

I concorrenti dell’Europa 
Un altro fattore che limiterebbe l’impatto delle forniture iraniane sugli approvvigionamenti europei: anche in caso di pieno sviluppo delle potenzialità di produzione in Iran, esistono destinazioni maggiormente prioritarie per il gas proveniente dall’Iran. Prima di tutto, c’è la domanda interna, in continua ascesa negli ultimi vent’anni: l’Iran era nel 2014 il quarto consumatore mondiale (dopo Stati Uniti, Russia e Cina, per un totale di circa 170 Gmc22 ). Nonostante l’asservimento quasi totale della propria produzione e richiesta interna, l’anno scorso l’Iran era ancora importatore di gas per circa 7 Gmc, volumi che potenzialmente potrebbero essere convenientemente rimpiazzarti assorbendo le prime fasi di espansione della produzione. La domanda interna potrebbe inoltre ulteriormente aumentare, non solo per la ripresa dell’industria locale sospinta dalla rimozione delle sanzioni internazionali, ma anche per la crescita demografica in atto e per effetto di una politica energetica che ha promosso la sostituzione nel mix energetico del petrolio – la cui esportazione è più remunerativa rispetto al consumo interno con il gas naturale, anche nel settore dell’autotrazione (l’Iran deteneva il 19% dei veicoli alimentati a metano esistenti nel mondo nel 2011). Inoltre una forte richiesta interna di gas è connessa alle esigenze di mantenimento della produttività dell’estrazione petrolifera, che avviene attraverso le iniezioni di gas nei giacimenti di petrolio (c.d. enhanced oil recovery). Queste ultime in particolare potrebbero limitare fortemente il potenziale di volumi di gas esportabili perché, come sollevato nel dibattito interno sul migliore utilizzo delle risorse energetiche, consentirebbero, attraverso un aumento delle esportazioni di petrolio, un maggiore beneficio economico per il paese e una strada - meglio percorribile dal punto di vista tecnico rispetto al commercio transfrontaliero del combustibile fossile gassoso. 

Le proiezioni sono per 200-220 Gmc di domanda interna già entro il 2020, che potrebbero crescere, se si assumono i tassi di crescita ipotizzati da IEA per il Medio Oriente, 270 Gmc entro il 2030. In secondo luogo, i piani per l’esportazione prevedono una chiara priorità per i paesi di immediata vicinanza, che minimizzano le esigenze di investimenti in infrastrutture e hanno mercati con prospettive di crescita significative. Secondo le dichiarazioni di NIGEC, di proprietà dello stato le destinazioni prioritarie per il gas iraniano sarebbero Turkmenistan, Armenia, Azerbaijan, Turkey e Iraq, seguiti dagli altri paesi del Golfo Persico. Nella regione le prospettive di crescita della domanda gas sono molto promettenti. Queste priorità sono già state rese concrete con contratti di fornitura, previsti in partenza entro la fine del decennio. I volumi previsti per l’esportazione verso l’Iraq sono circa 2 Gmc/anno a partire dal 2015, previsti poi in ascesa per raggiungere nel 2018 10 Gmc; entro il 2020 si aggiungeranno quelli verso Turchia (10 Gmc/anno) e Oman (fino a 10 Gmc). L’Iran è anche già in trattative con l’Afghanistan dal 2014. Anche l’infrastruttura per fornire questi mercati, al contrario di quella diretta verso l’Europa, è già in fase avanzata (nel caso dell’Iraq) o in parte già esistente (come per la Turchia). 

Impatto marginale per l’Europa 
Almeno prima del 2030 dunque si può concludere che la domanda interna e le esigenze di importazione dei paesi immediatamente confinanti (in particolare Iraq, Turchia e Oman) spiazzino le possibili esportazioni via gasdotto verso l’Europa, anche assumendo che vengano realizzati i complessi progetti infrastrutturali. Le rotte di esportazione del gas iraniano, in analogia a quanto già accaduto con South Stream, è probabile che si fermino, almeno fino al 2030, ai paesi più vicini, dove i consumi di gas sono in netta crescita, piuttosto che portarsi avanti, sopportando alti costi di investimento, verso una destinazione con richiesta di gas recentemente stagnante. Per quanto riguarda invece il GNL, si tratta di un’opzione che molto probabilmente verrà posticipata, sia per la complessità della tecnologia che richiede una maggior partecipazione di investitori stranieri rispetto al trasporto via tubo, sia perché potrebbe essere giudicato non opportuno entrare in un mercato che, nel breve periodo, sarà molto probabilmente già saturato dall’entrata di capacità di liquefazione già in fase avanzata di realizzazione. In un contesto di risorse di investimento e accesso al credito ancora limitati, preferire l’opzione via gasdotto a quella via nave consentirebbe all’Iran di sfruttare il vantaggio competitivo della vicinanza ai mercati del Golfo Persico dove c’è grosso potenziale di richiesta di gas già dal breve periodo. In ogni caso, le prospettive più ottimistiche si fermerebbero a un contributo agli approvvigionamenti europei nel periodo 2020- 30 di 10-20 Gmc all’anno, trasportati esclusivamente da gasdotti, a condizione però che avvengano gli investimenti nel rafforzamento del transito interno alla Turchia. Si tratta di meno del 5% del consumo interno dell’EU nel 2014 e solamente circa un sesto dell’export gas di gas russo verso l’EU.

Sicurezza dell’offerta o sicurezza della domanda? 
Il ridotto possibile contributo dell’Iran, fino al 2030, all’approvvigionamento all’Europa, vanificherebbe dunque anche il contributo alle esigenze di diversificazione del mix di importazione di gas nell’Unione, espresse più volte dalle istituzioni comunitarie soprattutto dopo la crisi russo-ucraina aperta a marzo 2014. Tuttavia, agli occhi dei potenziali nuovi entranti nell’esportazione di gas, quando si parla di Europa il problema non è tanto la sicurezza dell’offerta, quanto la sicurezza della domanda. L’Europa, nonostante le dichiarazioni a livello istituzionale, non rappresenta commercialmente la destinazione più attraente per progetti di esportazione che implicano impegnativi finanziamenti con ritorni raggiungibili solo nel lungo periodo. È possibile che, come l’Algeria, anche l’Iran decida di non vincolarsi a un mercato con una domanda con poche prospettive di sviluppo. La tendenza, già riscontrata nel caso della vicenda del South Stream/Turkish Stream, che potrebbe anche interessare il futuro gas di provenienza iraniana potrebbe essere lo spostamento del punto di consegna delle forniture extraeuropee lontano dai centri di consumo europei, ad esempio presso un hub del gas turco. Una strategia che potrebbe anche consentire di non sottostare alla regolazione delle reti comunitaria, che a oggi ha di fatto portato all’impossibilità di sfruttare a pieno le potenzialità del Nord Stream per effetto di una disputa sull’accesso di terzi alla capacità sul gasdotto Opal, la continuazione tedesca del gasdotto russo che attraversa il Mare del Baltico. In un orizzonte più lontano, l’Iran potrebbe contribuire alla diversificazione alimentando i volumi disponibili di LNG spot, ma non si tratta comunque di un game changer poiché la liquidità del mercato del gas liquefatto verrà in primo luogo, e in un orizzonte di tempo più vicino, sostenuta da altri fornitori, con progetti di liquefazione già avviati, almeno per i volumi in eccesso a quelli richiesti dall’Asia. 

Quanto costa la diversificazione 
Nonostante l’affacciarsi di nuovi fornitori potenziali di gas nei prossimi anni, rispetto alla diversificazione dell’importazione verso l’Europa non va trascurato il fattore economico. Il gas russo, per l’Europa, rimane comunque il più conveniente e meno complesso da importare, almeno da un punto di vista commerciale, come sembra essere implicito nella decisione presa da alcune imprese energetiche europee (l’austriaca OMV, Shell e E.ON) di sostenere il progetto dell’ampliamento del Nord Stream pipeline, alternativa al corridoio ucraino, dove i contratti di transito potrebbero non essere rinnovati dopo il 2019. Le consegne di gas russo all’Europa potrebbero battere dunque la concorrenza delle future forniture, in termini di costo. Il gas prodotto dai nuovi giacimenti in Russia (Yamal) si stima possa garantire un ritorno già soddisfacente anche se rivenduto alla frontiera europea a circa 7 $/MMBtu, mentre le attuali opzioni di esportazione di gas iraniano in Europa potrebbero essere realizzabili solamente se i prezzi di rivendita sui mercati europei fossero superiori almeno a 7 $/MMBtu.  

Fonte: Di Pia Saraceno, Beatrice Petrovich - REF-E

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